Si è svolta ieri a Roma, nella bella cornice del Tempio di Adriano, la cerimonia di premiazione dei vincitori del Premio Roma, concorso per i migliori formaggi nazionali ed internazionali organizzato dalla Azienda Romana Mercati, l’Azienda Speciale della Camera di Commercio di Roma per lo sviluppo e la promozione del sistema agroalimentare.
Al caciocavallo dell’azienda agricola ed agrituristica di Caseria di Castelfranco in Miscano è stato assegnato il secondo premio nella categoria “migliori caciocavalli e provoloni nazionali”.
Ho visitato l’azienda nel novembre scorso e ne serbavo nel cassetto il resoconto. E’ il momento di proporlo.
Bisogna levarsi presto per assistere alla preparazione dei formaggi dell’azienda di Fedele Caseria a Castelfranco in Miscano. Il latte viene munto all’alba e subito dopo inizia il processo di lavorazione.
La Statale 90bis delle Puglie si dipana lungo scenari mutevoli ma sempre stupefacenti. Tanto la terra è aspra, spigolosa, pietrosa tanto sono sinuosi, morbidi, dolci i pendii. L’urgenza di arrivare non impedisce di fermare l’auto più volte per godere dello spettacolo silenzioso di questi luoghi. Si rischia di far tardi ma la bellezza del paesaggio rapisce e vince qualsiasi frenesia.
Alle 9.10 la signora Rosina, madre di Fedele e vera condottiera dell’azienda, sta tirando la sfoglia. Le vacche sono state già munte ed il processo per la coagulazione del latte è già avviato.
Si mangia formaggio, subito. Una caciotta di latte vaccino, l’unico che lavorano in azienda. Morbida, grassa, saporita. “E’ il frutto di un esperimento, qui si fanno esperimenti ogni giorno per provare a tirar fuori qualcosa di nuovo e migliorare quello che già facciamo”.
Il contegno che pur occorre mantenere impedisce a fatica di continuare sino alla fine della forma; la cagliata chiama.
La lavorazione è eseguita meticolosamente, con attenzione maniacale perché ogni fase si sviluppi secondo un protocollo elaborato da Fedele, raccogliendo appunti minuziosi sugli esiti delle variazioni di ogni aspetto della produzione. Su tutto regna sovrana l’esperienza di Rosina. C’è poco di meccanizzato, giusto il riscaldamento del latte ed il taglio in pezzi della cagliata, nulla di automatizzato.
La sala di caseificazione ha un odore intenso che brucia le narici, i ritmi di lavoro sono lenti ma serrati, si procede con grande concentrazione perché l’esito finale, la qualità, il sapore, i profumi del formaggio dipendono da temperature, tempi, gesti.
Fedele e Rosina lavorano in un silenzio armonioso. Ogni mattina si ripete il rituale sapiente della produzione di caciocavallo, ciascuno sa cosa e quando farlo. E’ una manualità che scorre secondo ritmi meccanici e oramai prestabiliti.
Intanto che la cagliata giunge al livello di temperatura ed acidità desiderata, si raccoglie con movimenti di estrema delicatezza il siero coagulato, la ricotta. Rosina porta fette di pane che vengono condite con i candidi fiocchi ancora gocciolanti appena estratti dal pentolone. Estasi.
E’ tempo di filare. Qui la gestualità si fa arte. Il latte cambia ancora consistenza, si compatta, si ammorbidisce, si allunga. Le mani plasmano la materia sfuggente e saporita. Non si può fare a meno di assaggiare; il casaro coglie il nostro fremito porge la pasta filata.
Anche la forma del bubbone superiore del caciocavallo è espressione di sapienza tramandata, qui a Castelfranco può essere a “button” schiacciato sopra come un bottone o a “zepp” la più comune chiusura richiusa su se stessa.
E’ mezzodì, il lavoro è iniziato con le prime luci del giorno e ancora non si finisce. Fedele continua a dar forma a nuovi caciocavalli quando Rosina comincia ad imbastire una treccia da servire a tavola per il pasto.
Tra la preparazione di un formaggio e l’altro, l’infaticabile animatrice di questa azienda ha trovato il modo di preparare il ricco pranzo e troverà poi la forza di continuare a lavorare incessantemente sino al pomeriggio inoltrato, per ripulire e preparare il le attrezzature per l’indomani.
I caciocavalli Caseria seguono diverse stagionature ed arrivano alla loro massima espressione a 24 mesi quando il formaggio ha perso un po’ di elasticità, assunto un colore rosaceo e maturato sapori e profumi che regalano piacevolezza rara. Mai piccante, privo di eccesso di sapidità, sempre avvolgente, coinvolgente e persistente.
La giornata finisce col sole che lascia l’ultima luce su questi campi sterminati, appena sotto il bosco. I colori mutano ancora e con loro l’aria, quasi come se le particelle ora avessero contorni più dolci. Probabilmente è solo l’effetto dell’accaloramento della pelle provocato dalle esalazioni delle lavorazioni e dal vino. E’ bello pensare, però, che l’aria trasporti, essendone rimasta impregnata, la tenerezza dell’erba e di queste persone forti e tenaci ma estremamente docili.