Dalla vostra inviata sul posto.
A Salina si cammina scalzi. La gente ha sempre un sacco da fare e gira in Ape, perché le stradine sono strette e irte e non sempre c’è il tempo di farsela a piedi. Non vi dico per scendere a mare: Punta Scario e Pollara (… sì, Pollara, quella del film Il Postino) ovviamente sono troppo belle, forse anche perché irraggiungibili se non con scarpinate di almeno dieci minuti. La gente qui è sprucida al punto giusto: cioè, non è che perché siete turisti vi si devono per forza fare i salamelecchi. Vuoi una cosa? Chiedila in modo gentile ed educato e pagala, con questi tre sacrosanti attributi puoi ottenerla senza timore.
Non so perché sia considerata un po’ come la figlia scema di Lipari: Salina è incantevole, tranquilla quanto basta, ventilata a puntino e soave. Soave nel senso che ti ammalia e ti trattiene amorevolmente fino a che non arriva il momento. Il momento in cui dovrai pure rientrare dove sai tu a riprendere gli affaracci tuoi.
Il 19 luglio scorso era un sabato, si è celebrato il Malvasia Day 2014, nella Tenuta Capofaro. Sì, perché c’è anche la Tenuta Regaleali, la Tascante, la Whitaker, la Sallier de La Tour. E appartengono tutte ai Conti d’Almerita.
I produttori di Malvasia di tutte le Eolie erano lì per il quarto anno consecutivo, in effetti era questo il pretesto del mio viaggio. Avevo promesso ad uno dei produttori che sarei andato a trovarlo per l’occasione, in realtà ci tenevo più io che lui e non finirò mai di ringraziarlo. Alloggiavo al Turkiscu, senza esagerazione uno degli hotel più belli in cui sia mai stata, alla faccia dei 5 stelle. Dopo una bella giornata di sole e mare, resa possibile dal noleggio di uno scooter sul quale ho girato l’isola in lungo e in largo e approcciato gli accessi alle spiagge ciottolose di cui sopra, mi faccio splendida (nel senso professionale del termine) e mi reco sulla terrazza del Resort dalla quale, tra l’altro, assisto al più splendido dei tramonti immortalati dal migliore maestro impressionista e mi lancio nella serata, che comincia col Seminario “La Malvasia e i suoi territori”. Cosa mai potranno dirsi ancora in mezzora di tempo, a riguardo, mi domando avvicinandomi al tavolo dei lavori, attrezzato all’ombra dei pini nel delizioso antistante giardino, con tanto di orizzonte e Stromboli sullo sfondo. Il dibattito è già iniziato e verte sulle particolarità organolettiche della Malvasia eoliana, così ancora poco conosciuta e bla bla bla, come sottolinea giustamente Daniela Scrobogna, giornalista e docente AIS. Intuisco che i lavori erano stati aperti dal professore ordinario dell’Università di Palermo Marcello Saija (che fighi ‘sti nomi con le vocali miste alle consonanti latine…) e saranno poi conclusi da Andrea Gabbrielli, redattore del Gambero Rosso e autore del libro “Il vino e il mare. Guida alla vite difficile delle piccole isole” che non manca di ricordare quanto un prodotto, per quanto autentico e tipico possa essere, deve incontrare pur sempre il mercato e possibilmente esservi venduto. Da qui, tutta una serie di considerazioni sul calo di vendite dei vini dolci che ha portato alla conseguente sperimentazione della produzione di Malvasia secca, che personalmente ho trovato convincente in Fenech, Hauner, La vigna di Casa Pedrani e alquanto coraggiosa nella versione spumantizzata di Virgona. E naturalmente pregevole come Dydime, Malvasia IGT Salina che, mi costa dirlo, ho trovato molto buona come tutti i vini di Tenuta Capofaro… è certo che dove ci sono i mezzi le cose si fanno meglio, ma tant’è.
A conclusione degli interventi, dunque, eccolo apparire in tutto il suo splendore di interprete della più classica favola romantica: Alberto, rampollo dei Tasca, il cui fascino di moderno principe azzurro riesce a risvegliare una sorta di Cenerentola perfino in me, che proprio non posso essere definita un’inguaribile sognatrice. È lui a dare l’inizio alle danze, con la presa dei calici alloggiati in deliziosi marsupi artigianali di stoffa cui seguirà il consueto tour di generose mescite tra i banchi dei produttori.
Ecco poi che i ricordi mi si fanno piuttosto confusi. Penso di aver ingurgitato circa un litro di nettare d’uva, riuscendo anche a raccogliere la testimonianza della cantina La Rosa, tenacemente impegnata a promuovere il Passito tradizionale, nonostante i nuovi trend.
Mentre scrivo mi viene in propizio aiuto l’opuscolo sul quale avevo avvedutamente annotato le impressioni di ogni assaggio e da cui apprendo insieme a voi di aver apprezzato particolarmente Tenuta Castellaro di Lipari per il corpo (del Passito, naturalmente) e Colosi, per il dolce così perfettamente equilibrato e non stucchevole. Punta Aria (Vulcano) l’ho amata per un particolare rimando al miele di castagno (deformazione mia, si intende), non a caso consigliato in abbinamento con i formaggi.
Cosa dire ancora, se non che ho rischiato di capitombolare rovinosamente anch’io sull’originale installazione dell’artista Loredana Salzano, “nostra signora dei vulcani” recita il banner del suo sito (mah!) che ha ben pensato di riprodurre in terracotta le sette isole “idealmente sospese e oscillanti su esili piedistalli” come dirà lei stessa, così tanto da finire almeno una volta in terra, a causa di una sfortunata collocazione logistica incompatibile col tasso alcolico e la scarsa lucidità dei passanti che finivano per inciamparvi puntualmente.
Serata onirica, contesto di una bellezza imbarazzante, elementi che poco chiedevano di aggiungere, alla Malvasia delle Lipari, la quale, ad ogni modo, non ha minimamente disatteso la brama di chi voleva degustarne i tipici sentori di frutta secca e il gusto inconfondibile di dolcezza contraddistinta, per naturale condizione, dalla mineralità tipica della terra che ne nutre le viti.
le foto dell’evento sono state scattate da MENagette
la foto della bottiglia di malvasia è tratta dal sito di Punta Aria, una delle aziende espositrici al Malvasia Day 2014