La mozzarella di bufala oltraggiosa

Lunghe strisce lucide come di smalto, dense come di colla, improvvise, attraversano la strada e solcano la pianura a perdita d’occhio. Scure, non riflettono i colori del cielo e nemmeno il verdognolo dei campi. Sono solchi colmi d’acqua dal 1600 e nonostante la recente bonifica sembra che l’acqua sia la stessa di quattrocento anni fa.

Le strade corrono dritte come strisce tracciate su un foglio. La pianura immensa, finita e beneficiata solo dal mare Tirreno, dai monti Massico e Verna, dai vulcani Roccamonfina e Vesuvio, ha lasciato compito facile all’uomo che l’ha pesantemente violentata a più riprese, in superficie e nel sottosuolo.

La bellezza di queste terre sopravvive, tuttavia, solo è più cruda.

Risalendo da Villa Literno verso il Massico, superato il Volturno e il centro abitato di Cancello ed Arnone, impossibile da evitare, alla biforcazione della strada, è un piccolo edificio in muratura con un porticato un po’ approssimativo retto da pilastrini così sottili da trasmettere un senso di precarietà.

A dispetto degli ettari ed ettari di campagna che si stendono intorno, lo spazio della rivendita è angusto, in una sorta di contrappasso alla cementificazione selvaggia che ha consumato quantità immani di territorio più a sud di qui, dove, invece, una bontà avvolgente, morbida, piena, succosa, candida, dolce e crassa è donata al mondo dal caseificio La Reale.

E’ oscena ed oltraggiosa la bontà di questa mozzarella di bufala perché con nuda sincerità profana il mainstream della terra dei fuochi, della diossina, dei campi contaminati. Questa terra è bella e dà buoni frutti quando la saggezza induce uomini veri a far tesoro della sapienza tramandata da secoli e generazioni. In questo agro di gloria antica, grande quanto oggi ne è il martirio, c’è spazio per squisitezze che nessuna produzione di vallate disegnate a colori pastello per caroselli televisivi e percorse da fiumi in cui si agitano pesci alieni da oltre una tonnellata di peso, potrà mai raggiungere.

I fratelli Di Benedetto sono gli artefici di questo presidio di gustosità aperto quasi quindici anni fa dove si continua a produrre preferendo la qualità all’insincero gigantismo dilagante dei caseifici della zona. La rivendita principale non è un bazar del cibo: piccolo banco, mozzarelle, ricotta divina, caciocavalli, qualche altro formaggio, poche bottiglie di vino. La mozzarella, insomma, qui non è esca per vendere coppe, pani e provoloni d’ogni dove è d’ogni qualità. La mozzarella qui è protagonista assoluta, come assoluta è la pienezza del suo gusto.
Si abbia cura di richiedere la pezzatura più grande e di assicurarsi una formetta di ricotta, magari prenotandola, per assicurarsi momenti onirici.
Come ogni bene prezioso si richiede cura nell’uso di questi latticini. Gli aspetti da ponderare sono tre: come, quando, cosa.
Assolutamente fuori dal frigo ed in purezza ossia senza altre inutili presenze nel piatto sono istruzione basilari sul come conservare e come mangiare.
Anche il quando ha due aspetti. Attendere almeno otto ore prima di mangiare, resistendo alla tentazione di addentare, e soprattutto evitare di degradare la mozzarella ad antipasto. Questa è una delle più grandi vessazioni cui è sottoposta la mozzarella di bufala oltre che essere un errore tecnico imperdonabile. L’antipasto deve stuzzicare l’appetito, aprire la strada ad un percorso. La mozzarella è pienezza, dolcezza, morbidezza. Le caratteristiche di un dessert, insomma, va mangiata a fine pasto, come si addice ai grandi formaggi.

Resta il cosa, ossia l’abbinamento. Franciacorta dosaggio zero e così diamo prova di essere aperti alle eccellenze del profondo nord; se, però, si vuol rimanere, invece, fermi e sul posto si può ottimamente scegliere tra una falangina minerale del vulcano spento di Roccamonfina, magari da vendemmia tardiva, o una esplosiva falangina del sannio caudino.

Caseificio La Reale S.r.l.
via Case Sparse – S.P. 7 (rotonda di Cappella Reale)
81030 località Cappella Reale, Falciano del Massico (Ce)
tel/fax 0823 740233
www.caseificiolareale.com
 
articolo apparso sul “ROMA”, edizione del 28 febbraio 2015, nella rubrica Odissea Gastronomica

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