Chissà se il cretino stellato è cretino stellato anche a casa.
È maschera o essenza, insomma?
Il dubbio è a suo favore, il che, spero, mi valga credito per il discredito che meriterò nel prosieguo di questo articolo.
Il cretino stellato è un cuoco stellato. Uno qualsiasi, chiaramente. Il genere, in genere, di chef insignito del fiorellino rosso sulla giacca o sulla toque blanche o in fronte, che assume pose peculiari, artefatte, viete. Un atteggiarsi che ne fa il cretino stellato.
Esistono inevitabili eccezioni, beninteso, come Mauro Uliassi o Giuseppe Iannotti, per esempio.
In certe province d’Italia l’omologo comune, senza cucina e senza stella, si definisce “cretino con la nocca”. Il fior fiore del cretino.
Il cretino stellato è, almeno si spera, una veste, un piviale, un modo d’essere da fesso, sussiegoso e riverente al contempo, che l’uomo cuoco indossa per ascendere al firmamento Michelin, restarci e celebrarne il rito.
Come si riconosce il cretino stellato? Ci sono alcuni elementi caratterizzanti facili da riscontrare.
Innanzitutto, la letizia a vanvera. Il cretino stellato si avvicina sempre lieto all’astante, nobile, ignobile o neutro che sia. Gli si rivolge con un sorriso accennato che di primo acchito pare dire: sono onorato di poter parlare con te. In realtà la frase è incompleta, ma i più non lo sanno e non lo comprendono e non voglio comprenderlo, perché fa così: sono onorato di poter parlare con te, babbeo compiaciuto del mio riverente avvicinamento al tuo tavolo, mentre aumentano a ogni passo gli euro che sborserai.
C’è poi la pendenza. La letizia a vanvera cala sull’ospite da una leggera inclinazione del busto dello cheffesso. Una misurata piegatura in avanti, un accenno di inchino.
La continenza, del resto, è la regola del ristorante stellato. Tutto è misura, equilibrio. Talora rarefazione, anche nel piatto. Serve a creare l’aura del tempio.
Le mani, ancora. Le mani del cretino stellato paiono quelle di un neurochirugo o di un pianista. Sono curate, percettibilmente morbide, lisce, soffici. Mosce, se le porge. Mai si direbbe abbiano avuto che fare con lame, lombi, stinchi, squame, patate, agli e cipolle.
Sopratutto, però, sono giunte. Atte a comunicare la fede, la ritualità, la sacralità del luogo o, come si usa cretinamente dire, dell’esperienza.
Torniamo al viso. Il cretino stellato parla misurando i decibel e fa fatica, si percepisce. Ha studiato forse ore, giorni, settimane, mesi, per calibrare il volume e il tono.
Ecco, il tono. Dolce, suadente, arrotondato come il movimento delle labbra. Sempre un po’ contratte a mo’ di succhio, a mo’ di Trump.
Ogni possibile spigolatura è limata, levigata, piegata. Sono prive di durezze le parole emesse dal cretino stellato. Abolite quelle con le doppie, le z, t, le str et similia. Fiorisce il LEI tra lemmi vuoti e frasi insignificanti, ma pompose, tronfie e anche servili. Un ossimoro di presunzione autentica e umiltà artificiosa, accompagnato da uno sguardo assente, ebete, mai diretto.
Questo modo di porsi, nei ristoranti stellati, è frequente quanto l’acqua San Pellegrino. E se il cretino ha le sue eccezioni, come abbiamo detto, la San Pellegrino no, non ammette eccezioni.
Al che il dubbio già posto in incipit troverebbe una sua radice: se il cretino stellato non fosse posa, sarebbe essenza, forse esito di una metamorfosi indotta dalla San Pellegrino.
Chissà che dopo questo articolo una qualche misconosciuta università non avvii uno studio.
Il cretino stellato
Chissà se il cretino stellato è cretino stellato anche a casa.
È maschera o essenza, insomma?
Il dubbio è a suo favore, il che, spero, mi valga credito per il discredito che meriterò nel prosieguo di questo articolo.
Il cretino stellato è un cuoco stellato. Uno qualsiasi, chiaramente. Il genere, in genere, di chef insignito del fiorellino rosso sulla giacca o sulla toque blanche o in fronte, che assume pose peculiari, artefatte, viete. Un atteggiarsi che ne fa il cretino stellato.
Esistono inevitabili eccezioni, beninteso, come Mauro Uliassi o Giuseppe Iannotti, per esempio.
In certe province d’Italia l’omologo comune, senza cucina e senza stella, si definisce “cretino con la nocca”. Il fior fiore del cretino.
Il cretino stellato è, almeno si spera, una veste, un piviale, un modo d’essere da fesso, sussiegoso e riverente al contempo, che l’uomo cuoco indossa per ascendere al firmamento Michelin, restarci e celebrarne il rito.
Come si riconosce il cretino stellato? Ci sono alcuni elementi caratterizzanti facili da riscontrare.
Innanzitutto, la letizia a vanvera. Il cretino stellato si avvicina sempre lieto all’astante, nobile, ignobile o neutro che sia. Gli si rivolge con un sorriso accennato che di primo acchito pare dire: sono onorato di poter parlare con te. In realtà la frase è incompleta, ma i più non lo sanno e non lo comprendono e non voglio comprenderlo, perché fa così: sono onorato di poter parlare con te, babbeo compiaciuto del mio riverente avvicinamento al tuo tavolo, mentre aumentano a ogni passo gli euro che sborserai.
C’è poi la pendenza. La letizia a vanvera cala sull’ospite da una leggera inclinazione del busto dello cheffesso. Una misurata piegatura in avanti, un accenno di inchino.
La continenza, del resto, è la regola del ristorante stellato. Tutto è misura, equilibrio. Talora rarefazione, anche nel piatto. Serve a creare l’aura del tempio.
Le mani, ancora. Le mani del cretino stellato paiono quelle di un neurochirugo o di un pianista. Sono curate, percettibilmente morbide, lisce, soffici. Mosce, se le porge. Mai si direbbe abbiano avuto che fare con lame, lombi, stinchi, squame, patate, agli e cipolle.
Sopratutto, però, sono giunte. Atte a comunicare la fede, la ritualità, la sacralità del luogo o, come si usa cretinamente dire, dell’esperienza.
Torniamo al viso. Il cretino stellato parla misurando i decibel e fa fatica, si percepisce. Ha studiato forse ore, giorni, settimane, mesi, per calibrare il volume e il tono.
Ecco, il tono. Dolce, suadente, arrotondato come il movimento delle labbra. Sempre un po’ contratte a mo’ di succhio, a mo’ di Trump.
Ogni possibile spigolatura è limata, levigata, piegata. Sono prive di durezze le parole emesse dal cretino stellato. Abolite quelle con le doppie, le z, t, le str et similia. Fiorisce il LEI tra lemmi vuoti e frasi insignificanti, ma pompose, tronfie e anche servili. Un ossimoro di presunzione autentica e umiltà artificiosa, accompagnato da uno sguardo assente, ebete, mai diretto.
Questo modo di porsi, nei ristoranti stellati, è frequente quanto l’acqua San Pellegrino. E se il cretino ha le sue eccezioni, come abbiamo detto, la San Pellegrino no, non ammette eccezioni.
Al che il dubbio già posto in incipit troverebbe una sua radice: se il cretino stellato non fosse posa, sarebbe essenza, forse esito di una metamorfosi indotta dalla San Pellegrino.
Chissà che dopo questo articolo una qualche misconosciuta università non avvii uno studio.