“Garagiste” è un termine francese che indica i produttori di “vin de garage” ossia vini prodotti in garage. Le parole, come nell’uso popolare più bello, evocano un contesto, qui due: la autenticità artigianale (il garagista è un umile lavoratore) e la piccola dimensione dell’azienda e della produzione (il garage, nella prima immagine che ci figuriamo, è un ambiente piccolo).
In Francia, dove sono sempre avanti in tema vino e gastronomia, la definizione indica vini di pregio della zona bordolese. In Italia la locuzione contiene un che di dispregiativo. In questo articolo la definizione è usata letteralmente.
A Guardia Sanframondi, nel cuore della valle telesina, una delle zone più vitate d’Italia, grandi cantine sociali, grandi produttori, grandi quantità, un’identità vinicola ancora in costruzione con punte di sublime eccellenza, un potenziale immenso non ancora pienamente sfruttato per la lenta crescita della qualità media e della professionalizzazione nella gestione delle cantine, Giovanni Iannucci vinifica in un garage parte delle uve dei suoi due ettari di vigneto, ricadenti anche nel territorio di Castelvenere, il Comune premiato per aver adottato un piano urbanistico coerente con la vocazione agricola del territorio.
Come larga parte degli agricoltori locali sino a che politiche di incentivazione pubblica ed opportunità di mercato non stimolassero la produzione e l’imbottigliamento, Iannucci cedeva le uve a vinificatori, limitando la produzione di vino a quello sufficiente per il consumo famigliare. Ora imbottiglia ma la sua regola non è cambiata: “poco ma buono”.
Il vino di Iannucci segue lo stile dei vini naturali e lo fa con una naturalezza, appunto, non comune nel mondo jihadistico di questi vini; “il vino che producevo per noi era buono e per questo continuo a produrlo allo stesso modo ora che imbottiglio” risponde alla domanda sul perché della scelta naturale. La risposta, benché assecondi intimi convincimenti del vostro gourman, disorienta.
Vinnatur, una delle più grandi associazioni di produttori di vino naturale scrive che questi vignaioli “intendono difendere l’integrità del proprio territorio, rispettandone la storia, la cultura e l’arte che sono state loro tramandate nel tempo, traendo ispirazione da una profonda etica ambientale”. Si prescinde dal vino, dunque, riferendosi a concetti altri, alti e preminenti il cui valore dovrebbe indurre a deglutire anche intrugli altrimenti orripilanti.
Il filosofo inglese Roger Scruton nel meraviglioso saggio “Bevo dunque sono” (Raffaello Cortina editore) scrive di aver viaggiato per la Borgogna attraverso il bicchiere, intendendo con ciò esaltare la capacità di raccontare il territorio detenuta dai vignaioli e dai vini di quel paradiso enologico francese. Come non essere d’accordo su un’impostazione che i maestri della viticoltura mondiale hanno rigorosamente conservato per millenni? Con enfasi retorica, poi, si sente spesso dire che “il vino è territorio liquido”; la frase è suggestiva e spiega il condivisibile obiettivo di non corrompere le tipicità dell’uva di ciascuna vigna o di ciascun ceppo con pratiche agricole e di cantina.
Intendiamo, insomma, affermare che il vino di territorio ci piace e siamo convinti che ogni vino debba essere capace di rappresentare in qualche misura la terra in cui sono allevate le vigne dalle cui uve è prodotto; ripudiamo, tuttavia, aprioristici atteggiamenti retrogradi, false ideologie, sovrastrutture di pensiero. Il territorio, ciascun territorio, è fatto anche di capacità tecniche, orientamenti all’innovazione, progresso, originalità. Nessuna idea, valore, principio, suggestione ci indurrà bere malefici e maleodoranti liquidi sol perché il produttore pretende eticamente (sic!) di difendere una storia, una cultura e un’arte che, ci permettiamo di opinare, talora manco conosce. E’ bene ricordare che i romani bevevano mulsum, una miscela in cui al vino, per contrastarne le componenti sgradevoli, veniva addizionato miele. Il vino non può, in fondo, non essere piacere.
Torniamo, però, ai vini del giovane Iannucci. In un freddo e limpido pomeriggio invernale li abbiamo provati tutti, nel suo garage/cantina.
La Falanghina 2012 Campo di Mandrie desta immediatamente meraviglia alla vista tanto è viva e dorata . L’insolita limpidezza per un vino di questo stile è un pregio che deriva da un periodo breve di macerazione sulle bucce e dal lungo affinamento in acciaio. Il vino, dunque, ha tempo di sedimentare naturalmente le impurità. Si ha l’idea dal racconto di Giovanni, dai suoi toni e dai ritmi con i quali si muove di una dolcezza e di una morbidezza di lavorazione. Si ritrova tutto in degustazione, benché all’olfatto risulti non particolarmente complessa, questa falanghina al palato denuncia la ricchezza del frutto che doveva essere eccelso al momento della vinificazione; la bocca è avviluppata da una pienezza quasi masticabile . L’acidità tipica del vitigno è levigata appena dal tempo e sostiene un intenso e lunghissimo bagaglio aromatico. Forse eccedente una nota di calore a rappresentare sinceramente un’annata in cui le vigne hanno beneficiato di un sole generoso.
Strabiliante esito di una distrazione il Trebbiano 2013 Fragneto. La natura spesso severa sa riservare sorprese inaspettate, sta all’uomo la capacità di coglierle. Quell’anno Iannucci, a riprova di un’artigianalità quasi autolesionista, dimenticò di vendemmiare per tempo un fazzoletto allevato a trebbiano, posto alto sulle colline. Una eccezionale combinazione climatica, normalmente avversa, in quell’alveolo creò il necessario substrato per il prodursi di una muffa nobile che bonariamente aggredì le uve obliate in vigna. Con perizia e sagacia il giovane sbadato ha tratto da quelle uve un vino raro, forse irripetibile. Il corpo ruvido e rozzo del trebbiano è stato reso amabile da quella muffa e la dedizione appassionata, contrappasso dell’innocente incuria di vendemmia, con cui quelle uve muffite devono esser state trattate in cantina ha permesso che qualche centinaia di bottiglie raccogliessero un concentrato ammaliante di aromi.
Abbiamo provato anche la Falanghina 2013, non ancora imbottigliata, di freschezza e sapidità esuberante ed una gradevole quanto semplice barbera del Sannio.