Lunedì prossimo, con la Befana, arriva uno dei match clou della massima lega italiana di calcio, Napoli – Inter.
La squadra partenopea vive un momento complicato dopo anni di grande spettacolo e ottimi risultati, stabilmente migliori di quelli dei nerazzurri, che però quest’anno arrivano al San Paolo da primi in classifica.
Va osservato che l’Inter, anche negli anni migliori, come quello del triplete, stagione 2009 -2010, si trova a disagio al San Paolo, dove non vince da ben ventidue anni.
Il San Paolo è lo stadio del disagio anche per me.
Da tifoso interista e assiduo frequentatore di stadi, nei giorni passati dall’ultimo turno di campionato ho meccanicamente pensato spesso di comprare i biglietti per assistere live al match di lunedì, ma ogni volta, un attimino dopo la tentazione istintiva, mi è tornato in mente il respingimento dell’aprile 2019.
Si giocava Napoli – Arsenal, valida per i quarti di finale di Champions League, avevo due biglietti per il settore distinti ma gli addetti alla sicurezza vietarono l’ingresso allo stadio a me e mia figlia. A esser più precisi intimarono l’alt alle mie stampelle, ma non potendo camminare senza, nella sostanza il fermo toccò me. Proteste, minacce quasi di arresto, pianti (mio e di mia figlia). Poi si trovò a passare un avvocato amico, una poliziotta venne a prendermi mentre andavo via e ci fu consentito di entrare a patto che abbandonassi le stampelle una volta seduto.
Assistetti alla partita col magone, impossibilitato ad alzarmi per comprare una bibita o andare in bagno o a muovermi in caso di necessità. Ridotto a un handicap ulteriore della idiozia del sistema sicurezza Napoli. A fine partita amici recuperarono a fatica le mie armi deambulatorie, abbandonate dagli stewards in un anfratto seminascosto.
Gli ignobili personaggi ai cancelli si fecero scudo di una norma di regolamento (mal scritta e peggio interpretata), i dirigenti della società sportiva Calcio Napoli, unendosi allo scempio civile, giuridico e umano, mai ritennero di scusarsi e anzi a più riprese sostennero che fosse furbesca la mia scelta di comprare i biglietti per un settore “normale”, dovendo i disabili aspirare a un biglietto a tariffa agevolata nel limitato settore H.
Mi resta tuttora oscuro il motivo per cui le stampelle sarebbero armi nei distinti e strumenti di pace nello spazio riservato ai disabili. In verità, ho da subito ipotizzato che l’eccentrica teoria celasse un inconfessato auspicio allo sterminio dei disabili senza sporcarsi le mani, qualcosa del tipo: ammazzatevi tra voi, bastardi handicappati.
Come qualsiasi persona di ordinario raziocinio può intendere, il settore disabili non è pensato dai progettisti come Colosseo o campo di battaglia tra polli, ma come spazio accessibile per spettatori che si muovono in sedia a rotelle. Ma vagliele a spiegare queste sottigliezze al cinepanettaro DeLa e ai suoi idioti ventriloqui.
Inutile pure far presente che non si ha notizia di respingimenti analoghi da nessuno stadio d’Italia e d’Europa e che non esiste alcuna regola UEFA discriminatoria verso le persone che camminano con le stampelle, tutt’altro. Da ultimo, il quattro ottobre scorso, sono stato al Camp Nou per Barcellona – Inter. Sono arrivato con le stampelle al mio posto “normale”, tra i tifosi catalani. Nonostante fossi un tifoso ospite, gli addetti alla sicurezza non hanno fermato le mie stampelle, offrendosi, anzi, di accompagnarmi sino al mio posto se ne avessi avuto bisogno o se avessi ritenuta eccedente le mie possibilità la distanza che separava il cancello dalle tribune.
La discriminazione, l’esclusione e l’umiliazione subite al San Paolo, dico oggi con relativa serenità, sono frutto dell’inciviltà che dilaga in quello stadio e della pessima fama che hanno i disabili a Napoli.
Il pre–giudizio degli addetti alla sicurezza, delle forze dell’ordine, dei burocrati e di larghi strati della popolazione stessa è che il disabile sia falso. Il mitico falso invalido, insomma, che nella versione calcistica capeggia tafferugli allo stadio. Almeno così la pensa la Questura di Napoli che legittimò l’operato dei militi nei miei confronti, evocando goffamente fantasiosi casi di tifosi malintenzionati, sorpresi a fingersi invalidi nel tentativo di introdurre allo stadio oggetti potenzialmente offensivi: protesi, arti artificiali, stampelle!
Ce lo immaginiamo l’amputato cavarsi la gamba per lanciarla all’arbitro mentre grida “cornuto”.
Libera entrata, per ora, a denti d’oro e dentiere. Dio non voglia che anche questi ausili finiscano nell’elenco delle armi improprie da stadio, i Di Maio d’oggi non potrebbero più vendere patatine e pop corn.
A distanza di molti mesi e molte lacrime, devo riconoscere l’attenuante dell’incompetenza ai pessimi figuri che mi bloccarono e minacciarono: non si può chiedere a un poliziotto vero di recitare la parte del poliziotto falso o almeno non ci si può aspettare che la reciti bene. E già, perché solo falsi poliziotti e falsi addetti alla sicurezza possono far finta di occuparsi dell’ordine e del rispetto del regolamento in un contesto, quale quello del San Paolo, che fa dell’abuso il proprio standard: si pensi che, ad eccezione delle tribune Posillipo e Nisida, in nessun settore dello stadio gli spettatori rispettano o possono far rispettare il posto assegnato. E nemmeno si può star sicuri di poter assistere alla partita seduti se si ha il biglietto per i distinti.
Il San Paolo è un teatro, il teatro dello scempio delle regole che dovrebbero fare del calcio uno show per famiglie.
La tutela dell’ordine pretesa come scudo per realizzare una discriminazione, e quella perpetrata nei mie confronti lo è stata, ha il retrogusto sgradevole dell’ipocrisia e della violenza arbitraria.
Bloccare un disabile e poi lasciarlo senza gli ausili indispensabili per muoversi, mentre tutto intorno era sopruso, furono atti vili e vergognosi, da cui nessuna istituzione si è dissociata. L’Assessore allo Sport, un campione d’ignoranza della disabilità, si associò alla voce del padrone e mi diede del furbo, trasponendo su di me, evidentemente, il suo habitus comportamentale.
Diversa fu la reazione della società civile e di molti giornalisti che ripresero con sdegno la notizia.
Pur amando per molti versi Napoli, città di origine della famiglia di mia moglie, città in cui ho lavorato a lungo, dove è nata mia figlia, di cui ho raccontato luoghi minori e straordinari della gastronomia, che tuttora frequento assiduamente, non metterò più piede al San Paolo, indegno stadio.
Molti amici, e giornalisti, alcuni avvocati e anche qualche magistrato mi sollecitarono a denunciare all’autorità giudiziaria l’accaduto, per affermare il diritto e anche per ottenere un risarcimento.
Avevo novanta giorni di tempo e li ho fatti passare. In anni di battaglie personali e associative per i diritti dei disabili e anche nel corso della mia attività politica di Assessore a Benevento ho maturato la convinzione che la dignità dell’handicap non si gioca sul piano del diritto, quanto sul piano della cultura civile, del senso civico.
Scrivere un pezzo sgradevole, urticante, vero e sentito ogni volta che istintivamente andrei allo stadio a Napoli e che ci rinuncerò per quel trauma e per paura che si ripeta, sarà la causa stragiudiziale e civile che porterò avanti.