Cuochi, ristoratori, viticoltori, di cui da queste colonne spesso fustighiamo vezzi e malcostumi, pure meritano alleanza ogni tanto. Chi mantiene la baracca dell’enogastronomia, sborsando denaro, ossia presunti gourmet, frequentatori di ristoranti, bevitori, gode di un’immunità da critiche ed ironie che può essere comprensibile ma non inviolabile. E allora in questa calura che scoraggia il solo avvicinarsi alla tavola se non per agguantare una fresca pesca, stiliamo una irriverente cinquina di espressioni che identificano temibili tipologie di commensali:
- “In quel tal posto si mangia ottimo pesce a prezzi bassissimi”: fuggite, avete innanzi il più pericoloso ed inaffidabile consigliere. Il pesce buono, fresco, di mare nostro e ben cucinato può esser proposto ad un prezzo ragionevole ma mai irrisorio a meno che non si tratti di un “cuoppo” di alici fritte;
- “Qui hanno un ottimo e genuino vino della casa, superiore a tutte quelle porcherie imbottigliate che si fanno pagar care, prendiamo un quartino rosso, fresco o col ghiaccio”: mi spiace, la serata è rovinata senza scampo. Sedete a tavola con lo spilorcio saccente. Ha l’aria chi la sa lunga, conosce inesistenti segreti a voi ignoti, come del resto a tutto l’universo mondo. Sopracciglio alzato, mezzo occhiolino, “fai fare a me” e vi uccide la cena, costringendovi a bere intrugli di medio-bassa qualità a temperature improbabili;
- “Odio quei ristoranti di nouvelle cousine da dove esci affamato che devi correre in pizzeria, molto meglio gli agriturismi dove mangi paesano e finisci bello sazio”: se non è un bulimico a parlare almeno è qualcuno cresciuto a pasta e carne. La nouvelle cousine oramai non esiste più ma il vostro interlocutore classifica come tale qualsiasi cosa che non abbia la forma del cavatello, il colore rosso del ragù e le strisce brunite della carne grigliata, rigorosamente servita col mezzo limone accanto. Portate con voi, segretamente custodita nel taschino, una dose di effervescente Brioschi;
- “Vorrai mica andare a ristorante? Scegliamo una trattoria tipica, mangiamo una cosa e via, non è che poi abbia tutta questa fame”: non tutto e perduto ma state imboccando una via insidiosa. Al vostro compagno – è sempre un maschio a pronunciare questa frase – non interessa nulla di cosa mangerete e in che contesto, è un onnivoro che esce poco, pensa di sentirsi a disagio in qualsiasi posto che non sia la pizzeria sotto casa. Trattoria nel suo linguaggio non individua un posto di cucina schietta ma curata, quanto piuttosto un luogo di cucina approssimativa. Per tipica, invece, non è chiaro cosa si intenda, potrebbe voler dire anche parmigiana di zucchine grigliate (orrore). Sta offendendo la dignità di migliaia di ottime tavole ma non lo sa. Vuole far presto e spendere poco. Ancora non ha deciso se vuole tentare una relazione con voi, sta pensando ad altro ed ha altro da fare. Vi attende un pranzo di mezz’ora, passaggio in bagno per lavare le mani compreso. In compenso c’è la possibilità che incappiate nella trattoria giusta di cui è disseminata l’Italia e magari dopo ci scappa un bacetto, fugace però;
- “Come si mangia a casa non si mangia in nessun altro posto, a ristorante ti avvelenano”: tristezza e apoteosi della diffidenza. Potenziale ghostbuster, freelance a caccia di streghe. Resterete a lungo a tavola ascoltando, presumibilmente, racconti di scie chimiche, cetrioli ogm, mozzarelle blu, vini adulterati. Mangerete pasta integrale, insalata a chilometro zero con germogli di soia raccolti dal contadino vietnamita al quale testimonierete la vostra solidarietà, vino rigorosamente puzzolente ed acescente. Verificate prima di sedervi a tavola che il telefonino consenta almeno le chiamate di emergenza.