Per la rubrica settimanale “Odissea Gastronomica”, che curo per il quotidiano “ROMA”, ho rivisto un mio articolo già apparso su bMagazine .
Gragnano oramai non è un paese ma una griffe per la pasta. Abbondano i marchi che propongono formati particolari in confezioni dalle reminiscenze retrò firmati “pasta di Gragnano”. Ovunque, oramai, si trovano questi pacchi di Gragnano, anche in autogrill. In molti casi si tratta di veri e propri “pacchi”, nel senso che la qualità del prodotto non è quella che si vorrebbe evocare, citando il paese della provincia di Napoli, a sud est di Castellammare di Stabia, dove la tradizione della produzione della pasta risale al 1600.
Non è in discussione l’apprezzamento per la pasta di Gragnano beninteso, purché sia ottima, irragiungibile. Afeltra, ad esempio, produce paccheri fantastici per consistenza, sapore, tenuta della cottura. Da ultima l’esperienza altissima del Pastificio dei Campi che esprime un concetto di qualità totale, coniugando attenzione al territorio, recupero della tradizione, innovazione, strumenti manageriali moderni. Un packaging scioccante per una pasta ineguagliabile.
Altri paccheri più che mangiati andrebbero dispensati a vari pastai o presunti tali, produttori che sotto la griffe “Gragnano” mettono in commercio pasta disonorevole, molliccia, che si frantuma con la cottura.
Il mercato della pasta, per il resto, è invaso da formati speciali di ogni tipo: fusillo storto, ritorto e contorto, conchigliette, conchiglioni, boccole, radiatori, gemelli, castellane, fiocchi rigati, gnocchi secchi, spaccatele, riccioli, occhi di lupo e chi più ne ha più ne metta. Al supermarket per trovare un pacco di ordinarie e tradizionali linguine, spaghetti o tubetti bisogna rovistare tra e negli scaffali, tanto son nascosti.
Il tubetto, che voglio celebrare, è un formato in via di sparizione. Il colpo ferale, prima che dalla concorrenza dei formati più fashion, è stato inferto dalle menti malsane dei marketing manager dell’industria pastaria che lo hanno ridefinito con un sostantivo che richiama, impudicamente, atti di autoerotismo femminile. La mossa è stata indubbiamente tesa a rivitalizzare lo smorto formato tradizionale ma ha in effetti innescato una sorta di suicidio del tubetto per isolamento da mancato acquisto. Massaie bigotte, donne audaci o distinti signori, pur aspirando a null’altro che ad una sacrosantissima pasta e fagioli, restano paralizzati dall’imbarazzo. Ci vuol faccia tosta, in effetti, per chiedere o portare alla cassa quel pacco con quel nome lì.
E così il tubetto è sempre meno venduto e, di conseguenza, sempre meno prodotto. L’estinzione è prossima e bisognerà mobilitarsi, ci vorrebbe un WWF della pasta, magari potrebbero pensarci gli amici di Slow Food.
Amico del palato, è un formato che “cresce” con la cottura, con cento grammi se ne ottiene un piattone la cui sola vista lascia presagire sazietà e soddisfazione. Una cucchiaiata, poi, riempie la bocca di pezzetti che arricchiscono il gusto con piena sensazione tattile: come è piacevole avvertire quei tanti tubetti urtare, morbidi, contro il palato.
Il tubetto, innumerabile, è gioia; il pacchero è mestizia, si aggira nel piatto in compagnia di non più di quattro o cinque suoi fratelli e quella penuria induce arrabbiatura, lasciando che si imponga il più atroce tra gli interrogativi che possono assalire un commensale: mi sazierò mai con questi 5 paccheri? Inizia, così, l’opera minuziosa di divisione in pezzetti, due o tre, nel vano tentativo di allungare il tempo del pasto e vederne accrescere la quantità. Quei pezzettini non riempiono, sono fastidiosi, lisci, scivolano, non arricchiscono il gusto con alcuna ulteriore sensazione.
Il paccaro, insomma, necessita di grandi condimenti per poter soddisfare; al tubetto basta un semplice filo d’olio. E questa, non me ne vogliate, è la mia preparazione preferita.
Il tubetto caldo bollente, ben scolato, va condito con un filo di olio extravergine di oliva. E’ un momento di rara intensità. Magicamente i tubetti, lì lì per formare un grumo in districabile, si sgranano, si allargano nel piatto. I sentori dell’olio, esalati per mezzo caldo della pasta, seducono l’olfatto. E poi quella ricchezza, quanti sono i tubetti nel piatto? 50, 100, 150 non lo si saprà mai, sono bellissimi e profumatissimi, lucidi, saporiti, appaganti.
Il tubetto all’olio è un piatto di semplicità disarmante e di soddisfazione completa, coinvolgendo olfatto, gusto e tatto.
Sublime tubetto (all’olio).