Sono stata all’Osteria senz’oste nel settembre 2014, in piena vendemmia.
Valdobbiadene e tutta la zona del prosecco DOCG era un pullulare di sforbiciate da pota e camion e odore di lieviti selezionati. Dopo un giro di visite per cantine, il mio amico Umberto mi fa: “ora ti porto da Cesare per l’aperitivo”. E andiamo.
L’Osteria senz’oste è un buco in una casupola arroccata tra le fratte di una delle colline di Cartizze, che guarda a Sud-Est verso Santo Stefano, la località del Prosecco Superiore: i 100 ettari più blasonati della bollicina italiana, dove parecchi produttori hanno pagato triliardi per un fazzoletto di terra, al fine di poter fregiare i loro milioni di bottiglie con la pregiata denominazione (Umberto mi ha detto che funziona così…).
Ebbene, tra un temporale e una schiarita, con la 600 scassata di Umberto raggiungiamo finalmente l’agognato rifugio ed entriamo.
Cesare De Stefani è a uno dei tavoli che parla con degli amici. Se lo trovi di genio ti fa pure vedere qualche pallottola ancora conficcata nei muri, perché lì non si parla, come dalle mie parti, di epiche battaglie coi Romani risalenti a tremila anni fa, ma di austriaci e tedeschi e partigiani nascosti nelle case di residenti conniventi. A ognuno la sua storia.
All’Osteria senz’oste ti devi servire da solo: apri il frigo, prendi salumi e formaggi, stappi una bottiglia di Prosecco artigianale e paghi lasciando in una cassetta il corrispettivo di quello che hai consumato. Anche l’addizione devi fare (l’addition, come dicono i francesi). Da qui partono gli spin-off di un’affascinante idea nata come libera condivisione di spazi e cibaglie -ma soprattutto di bevaglie… – la cui remunerazione rimaneva all’onestà dei conviviali.
Da un lato ci si è messa l’Agenzia delle Entrate, che ha propinato al caro amico Cesare una cartellina da 62.000 Euro in base agli studi di settore. Dall’altro, tanta, tantissima gente che negli anni ha consumato senza pagare.
La goccia che ha fatto traboccare il vaso, qualche giorno fa: Cesare non è che non faccia caso proprio a nulla. Sembra distratto, in realtà ti osserva. Me ne sono accorta anch’io, che mi guardava con la coda dell’occhio mentre sciorinava chiacchiere incomprensibili nel suo dialetto agli altri visitatori. Sono certa che il suo software interiore abbia soppesato e tradotto in moneta il volume della mia consumazione, mentre gli infrarossi hanno scannerizzato le monete e banconote che ho infilato nella cassetta a fine pasto, continuando serenamente la sua chiacchierata dopo che io ho adempiuto al mio dovere di cliente. Solo che quella sera non era venerdì, e nel locale non c’erano più di quattro persone.
La settimana scorsa, purtroppo, a quanto pare una nutrita banda di gozzovigliatori ha fatto una gran bella baldoria, lasciando in cassa la stupefacente somma di € 1,21. Un euro e ventuno centesimi che l’attonito locandiere ha ritrovato all’indomani nel piccolo forziere adibito a cassa.
Ecco che arriva l’ANSA: Cesare chiude. Deve essersi stancato di sembrare uno che gioca, che froda, che tanto ci guadagna con gli altri, quindi io posso cavarmela con due spiccioli. Sì, perché è una cosa che negli anni è già accaduta, più volte. Solo che, a quanto pare, lui ora non ce la fa più. E poi gli saranno girate anche le balle, no?
Ecco, erano mesi che volevo votargli questo tributo. Spero solo che, arrivando ora, possa servire a fargli cambiare idea. Io come tantissimi altri (circa ottomila in una pagina fan su Facebook) lo stiamo sostenendo con la testimonianza, si spera non troppo sparuta, di un pubblico che ha capito e apprezzato, ripagando onestamente l’originale servizio usufruito. Non credo comunque che, decidendo di continuare, cederebbe sui metodi anarchici, desistendo dall’evitare controlli sui conti.
Ma tant’è. Per noi, ad ogni modo, L’Osteria senz’oste non deve chiudere. E basta.
Osteria senz’oste Strada delle Treziese Valdobbiadene