La tradizione vuole che non si avvii l’addobbo natalizio ed anche il tour de force gastronomico prima della celebrazione della vergine Maria nata senza peccato, l’otto dicembre. E’ una tradizione con piccole sfumature locali, come a Milano dove si inizia il 7 con Sant’Ambrogio.
Esigenze ed esasperazioni del marketing e ora anche la crisi che porta con se il desiderio, del tutto naturale, di trovar attimi di tregua dagli stress e dalle preoccupazioni, sollecitano ad accendere lucine e scartar panettoni e dolciumi di ogni foggia e sapore già da metà novembre. L’attesa del Salvatore o anche di un semplice ristoro, dunque, spingono a giocar d’anticipo.
Nella nostra Odissea siamo abituati alle tempeste, non ci facciamo prendere dall’ansia e dalle contingenze né del resto siamo milanesi, non approderemo, quindi, in locande, pasticcerie e coloniali natalizi prima dell’otto dicembre.
Il sol leggere, tra l’altro, le targhette dei prezzi dei panettoni ci provoca l’orticaria: dall’inverosimile euro e cinquanta centesimi del supermarket ai trenta e più euro delle patisserie più rinomate, a torto o a ragione. Tutto pare inverosimile e spropositato.
In tal contesto surreale, con i giorni dicembrini sempre intensi di impegni e densi spesso di una “tristezza brumosa” che inevitabilmente e puntualmente irrompe con l’appropinquarsi delle festività più condivise, astratta dalla meteorologia, afferendo piuttosto alle nostre più intime contraddizioni e malinconie, è utile e confortevole riparare nella banalità e comodità di cibi semplici. Il pane e frittata, per esempio.
Cibo da muratori si è sempre detto perché in effetti così è. Sostanza, trasportabilità, conservabilità, economia; quel che occorre per chi fa un lavoro duro, lontano da casa.
Uova, formaggio, olio, pane o panino con mollica ben compatta. Questi gli ingredienti base. No alla rosetta, troppo vuota dentro. Quali persistenti sensazioni e suggestioni sprigiona questa preparazione è arduo narrare. Partiamo dai colori. Predomina il giallo, il colore del sole disegnato, del caldo, dell’oro, il colore di un bene prezioso che apporta energia e vitalità. E’ gialla la frittata e gialla intensa la mollica del pane. Deve riposare il pane e frittata, per dar tempo al pane di impregnarsi del sapore e del colore di olio e di uovo. Si badi, che sia appena pronta e ben calda la frittata quando si farcisce il pane. Peccato capitale sarebbe porla su carta assorbente, da suscitar l’ira degli inferi, poi, farla raffreddare prima di infilarla tra le fette.
Il profumo, intenso, evoca gli odori più segreti della cucina in eterno fervore della casa di famiglia, odori che dalla casa vanno espunti ma che quando si è fuori o si è tristi recano conforto come la tenerezza di un abbraccio.
Il gusto e la consistenza sono pieni, abbondanti, magnificamente soddisfacenti. Ci vuol anche fatica per masticare ma è il dazio che giustamente si deve per restar appagati.
C’è un ingrediente immateriale ad arricchire il gusto del pane e frittata ed è la mano di chi prepara, di chi ci vuol bene. Pane e frittata è un cibo d’occasione, per quando siamo lontani o per quando ci sentiamo afflitti, chi lo cucina lo sa ed aggiunge quel che di premura in ogni fase, dallo sbattere le uova al taglio delle fette di pane al confezionamento del “plico” finale. E la suggestione di questa mano amorevole la sentiamo tutta dal primo all’ultimo morso.
Forse dal pane e frittata si può tirar fuori, non senza ardire, una morale che ha a che fare con la preminenza dei sentimenti, della semplicità e dell’essenzialità del cibo.
Il segreto per questa preparazione non esiste e non crediate a chi mai dovesse pensare di rivelarlo. Di certo nel gran caos della comunicazione gastronomica, però, sarà ben difficile che se ne parli almeno sinché qualcuno non inventerà la frittata di uovo madre, il primo uovo deposto nella luce dell’alba che scioglie la notte di plenilunio, dalla gallina allevata a terra (si può allevar galline anche in aria?), in aia di pietra calcarea del paleoprotozoico e nutrita esclusivamente con mangimi dop(ati).