l’olio di quel grappoletto che la mosca non ha punto

Tra Ariano Irpino e Montecalvo Irpino corre un vallone solcato da torrenti e fiumi e venti che hanno addolcito i lievi pendii collinari. Qui passa  l’asse ideale che collega il Mar Adriatico al Mar Tirreno; la traccia che congiunge il golfo di Manfredonia a quello di Napoli, sulla mappa, può tracciarsi col righello. Qui si incuneano, veloci e violente, correnti balcaniche che sferzano la terra e le piante.

Percorrendo piatte strade sinuose che seguono gli arabeschi disegnati dai fiumi Calore, Ufita e Miscano, poi scartando per inerpicarsi lungo i fianchi morbidi e tortuosi delle colline, i gialli secchi e intensi della terra tufacea sono spezzati da chiazze squadrate di verdi olivastri. Il vento agita le fronde folte dei tanti uliveti della zona, i raggi del sole ora sono assorbiti, ora sono riflessi, il verde d’olivo è cangiante, freme e vira senza tregua dal cupo al luccicante e viceversa. Siamo in un’area di produzione di olio che ha il riconoscimento della DOP (Irpinia Colline dell’Ufita, olio extra vergine di oliva), utile senza dubbio. Nella nostra odissea, tuttavia, abbiamo imparato che le suggestioni e i colori della terra, le storie degli agricoltori, il sapore dell’aria, l’intensità della luce contano ben più delle sigle, delle certificazioni, delle burocrazie.

Sebbene l’intensità dei venti sia qui riuscita a consentire l’impollinazione dell’olivo, altrove inibita dalle piogge, nulla ha ostacolato, nemmeno qui, il lavorio rovinoso della mosca olearia. L’estate tiepida ha creato le condizioni ideali per il proliferare di questo insetto che svuota le olive, nutrendosi della loro polpa. Anche in questa zona, dunque, si sono raccolte per lo più olive svuotate, inutilizzabili se non per oli di color, e forse anche sapore, petrolio. Non ho avuto il coraggio di testare, confesso, questi liquidi. È  l’anno nero dell’olivicoltura italiana. In Toscana, a Reggello per l’esattezza, per la prima volta in 42 anni è stata sospesa la festa dell’olio. Raccolti scarsissimi, le stime parlano di una  falcidia del 70/80% dell’ordinario, qualità tendente allo scarso.

La natura, tuttavia, si riserva sempre di premiare l’uomo che sia mostrato saggio e così capita di trovare chi l’olio sia riuscito a farlo buono, anzi ottimo, anche quest’anno.

L’azienda agricola De Cillis, conservando del suo vasto uliveto una parte di ravece, varietà di larga tradizione e diffusione nella zona, una decina di anni fa ha impiantato, al termine di un lungo ed assennato percorso di sperimentazioni ed approfondimenti svolti con il supporto di un vivaista estroso e di un laboratorio pubblico rigoroso, un campo di ulivi di varietà Leccio del Corno, più tipica della Toscana ma ben ambientatasi su queste colline a cavallo tra le coste d’Italia. Produce su ciascun ramo, questa cultivar, una buona quantità di olive ravvicinate, quasi a formare un grappoletto, da cui anche prende il suo nome comune. Olive tante, quindi, per ciascuna pianta ma ben smilze, con poca polpa.

Non che sia sciocca la mosca olearia, tra la polposa oliva ravece e la grappolina mingherlina cosa  avrà mai scelto di colonizzare? La risposta è scontata e le olive del campo di Leccio del Corno dei De Cillis, modernamente condotto senza ausili chimici, son ben che finite sotto le macine a martello del vicino frantoio e poi a ristorar, su di una fetta di pane ben caldo, le papille gustative di un cronista stremato dal vagar tra colline alla ricerca di un sorso d’olio nuovo e buono.

Verificato, per dovere, anche il frantoio, il luogo che può infliggere il colpo di grazia a qualsiasi ottima oliva. Pulito, tecnologicamente avanzatissimo, efficiente.

 
Azienda Agricola De Cillis
Contrada Pratola, 6
Montecalvo Irpino (Av)

 

Frantoio Oleificio Romolo
C.da Parzano
Ariano Irpino (Av)
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