Guido Invernizzi è un medico di Novara ed è anche un docente dell’AIS (Associazione Italiana Sommelier) Lombardia. E’ un uomo di straordinaria cordialità, simpatia e cultura. Del vino e della storia del vino conosce tutto. Uso non a caso il verbo “conoscere” perché Guido non è uno che sta lì a spruzzare giudizi supponenti o incomprensibili, di quelli che ti fanno sentire un imbecille che non capisce nulla di quel che beve. E’ un uomo che racconta il vino, racconta gli assaggi racconta storia e storie; un uomo che affascina. A cena, tra una bistecca ed una birra, (eh già, stanchi di una giornata di vino beviamo birra a cena), racconta, anche allo stupefatto Alexandre Penet, proprietario dell’omonima maison produttrice di Champagne, dell’origine dei vini sparkling”, frizzanti, spumanti. “Qual è stato il primo vino con le bollicine?” Non è lo Champagne, miei cari, ma il Blanquette de Limoux, prodotto da uve vendemmiate nei vigneti del comune omonimo, nella regione della Languedoc-Roussillon, sulle colline a sud ovest di Carcasonne, nel sud della Francia, ad un centinaio di chilomentri dal Golfo del Leone. Una posizione privilegiata, baciata dal sole, dall’influsso dei mari e da una vena calcarea che corre sotto i terreni. Si dice che il monaco benedettino Dom Perignon importò proprio da Limoux il metodo di spumantizzazione, applicandolo ai vini della Champagne, facendone poi quello che noi conosciamo, il più prestigioso vino spumante del mondo. Una storia straordinaria.
Avrei trascorso ore con Guido ma il Vinitaly per lui è anche e soprattutto lavoro, sicché ho passato la seconda giornata da solo, vagando per i padiglioni, curiosando in particolare tra Alto Adige, Trentino, Sicilia e Piemonte. Nonostante il terrificante ricordo di un caffé veronese, somministratomi con chiaro intento assassino, nel 2011, da un bar nei pressi della basilica di San Zeno, non ho potuto fare a meno di sottrarmi al rito mattiniero e molto vacanziero, del “caffé e cornetto”; fortuna ha voluto che ne sia passato indenne. Ancora con l’aroma del caffé in bocca mi imbatto in Enza La Fauci, messinese, produttrice dell’interessante OBLI’ Faro DOC da uve autoctone Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio e Nero d’Avola. La signora Enza mi ha parlato di un vino prodotto in piccole quantità senza additivi chimici in vigna ed in cantina. Questa enfasi che si sta diffondendo nel mondo del vino sulla “naturalità” della produzione la trovo molto “marketing”, ma tant’è. Ben venga, del resto, se serve a premiare produttori audaci senza al contempo implicare giudizi di superiorità morale in virtù dei quali accettare per buoni vini sgradevoli. L’OBLI’ della Tenuta La Fauci mi è piaciuto a prescindere, diciamo.
Ed a proposito di natura, rimanendo in Sicilia, mi soffermo allo stand dell’Istituto Regionale Vini & Oli di Sicilia. Giovanna Ponticello, biologa, gentilissima ed entusiasta, mi illustra alcuni progetti sperimentali sui lieviti e sui vini senza solfiti aggiunti. Mi pare tutto molto interessante, straordinariamente bello, anche perché si tratta di una struttura pubblica a supporto delle aziende; magari mi sbaglio, leggo sul sito che l’Istituto è stato di recente commissariato, mi viene il dubbio che la politica abbia potuto inquinare il lavoro ottimo dei tecnici. Non oso approfondire. Voglio che mi resti la bella impressione.
Scorazzando per la fiera incrocio di nuovo il buon Luigi Marotti del Bar Elisa di Benevento alle prese con i sigari di grappa EVO, di cui è rivenditore. Si tratta di flaconcini monodose di grappa che richiamano le confezioni e la forma dei sigari. I flaconi, del resto, sono raccolti in scatole di legno belle e preziose come quelle dei sigari più prestigiosi. Il giovane produttore, in doppiopetto e cravatta, molto Montezemolo style, ci fa provare una vodka da uva e vino che sta producendo e che secondo lui si accompagna bene al pesce crudo. Provo anche la grappa. Sono le 11 del mattino e dopo il caffé ho bevuto nerello mascalese, vodka e grappa. Piccole quantità, non c’è dubbio, ma bastano a disorientarmi.
Lascio la compagnia ed esco dai padiglioni, un po’ di aria fresca mi farà bene. Leggo il depliant del giovane Montezemolo della grappa e trovo l’indicazione del sito: www.enoglam.com, sic! Dai vini naturali alle grappe glamour. Il mio disorientamento aumenta, ho bisogno di tanta aria fresca. Inizia a piovere, una hostess della fiera si aggira in “caddy” e mi offre un passaggio. La minigonna mozzafiato della giovane trasforma il disorientamento in stordimento.Mi sento preso a cazzotti. In un istante di lucidità penso che la camminata sotto la pioggia possa essere più salutare del comodo spostamento in automobilina; mi sottraggo e proseguo a piedi.
Giungo in Piemonte, dall’altro lato della fiera. Ho smaltito l’alcol ma ora ho fame. I giovani ristoratori d’Europa (JRE – Jeunes Restaurateurs d’Europe) curano un “self service d’autore” ed io mi ci fiondo. Zuppetta piccante di scorfano e chips di cozze, pasta e patate con palamito e pomodori secchi, guancia di maialino brasata con purea di sedano rapa e patate croccanti, ganache di cioccolato al cardamomo con mandorla tostata, dattero e salsa al marsala. C’era una carta dei vini al bicchiere ma per una volta ho delegato il sommelier di scegliere per me. Esperienza sensoriale assoluta. Grande cucina nonostante una mia personale riserva sulla pasta e patate col palamito che doveva essere gratinato ma tendeva al bruciacchiato (preparazione di Alfonso Caputo della “Taverna del Capitano”, Massa Lubrense, anche l’artefice dell’ottima zuppetta di scorfano). Guancia e dolce strepitosi (chef Tommaso Arrigoni e Eros Picco del ristorante “Innocenti Evasioni”, Milano).
Satollo mi tuffo alla scoperta del Piemonte. C’è Slow Food che vende libri e gestisce un ristoro con enfasi sul riciclabile (tavoli e sedie in cartone), Giovanni Rana, quello dei tortellini, è fermo ad un stand, circondato da un codazzo di gente imprecisata, a degustare non so che. Scivolo via, svicolo e mi imbatto in un giovane appassionato produttore di Dolcetto d’Alba, Daniele Reale della micro azienda vitivinicola Blengio (www.blengio.it). Mi spiega tante cose del dolcetto, alcune glie le faccio ripetere davanti al telefonino in modalità video. Gli acini tendono a staccarsi dal grappolo dal caratteristico raspo rosso per cui la vendemmia richiede cura e fatica; il retrogusto amaro del dolcetto (ossimoro enologico) non incontra il favore di consumatori, sempre più assuefatti ai morbidi, eleganti e dolci sentori dei vini omologanti delle grandi maison. Se ne produce sempre meno, quindi, di dolcetto. Questo ragazzo continua a curarlo in vigna ed a vendemmiarlo con con la cura che si riserva ad un infante (“con una mano si tiene delicatamente il grappolo e con l’altra si taglia per poi adagiare in cassetta”). Una grande passione tira fuori un vino sincero.
Il tempo passa ed io devo imbarcarmi sull’aereo che mi riporterà a casa. Ho ancora il tempo per un paio d’esperienze, una brutta ed una bella. Intoppo in questo fastidioso produttore Piemontese, Marco Maria Crivelli, che è lì per esporre i suoi vini e che richiesto di qualche spiegazione del suo “ruché” mi fa: “questo è il nostro bigliettino da visita, ci trova l’indirizzo del sito. Lì ci sono tutte le informazioni”. Parla con garbo ma lo trovo scortese. Le etichette erano molto belle, lui molto elegante, magari ero innanzi ad un altro vino glamour, chissà. Certro non mi degnerò di trovarne una bottiglia.
Diretto freneticamente in Campania, per gli ultimi saluti agli amici, attraverso la Toscana. L’ansia per il decollo (devo raggiungere l’aeroporto Marco Polo di Venezia) non argina la curiosità che mi suscita uno dei “vignaioli indipendenti” che presenta il suo Aleatico dell’Elba in versione rosato e passito. Devo provare. Prima di questo rosato solo la Rose di Manincor ed un nerello mascalese naturale somministratomi dal buon Daniele Viola al suo “vinocolo” mi avevano entusiasmato tra i rosati (vini che non amo). Ebbene il “Rosato delle Ripalte” della Fattoria delle Ripalte, da sole uve aleatico dell’Isola d’Elba mi sbalordisce per la sua ricchezza di sentori e sapori. Mi son rifiutato di provare il passito per conservare la bella bocca del rosato.
Mi precipito a Venezia, facendo volare la Smart presa noleggio. Arrivo in aeroporto giusto una quarantina di minuti prima dell’orario previsto per l’imbarco. L’aereo partirà poi con due ore di ritardo, conferendo un epilogo nervoso ad una due giorni enoica ricca di incontri, scoperte, sapori.