Intensa serata per le papille gustative ieri sera nel cortile della “Bottega dei Miracoli”, a Benevento, in via Nuova Calore. La rivendita di selezionati prodotti di qualità ha organizzato con Slow Food, condotta di Benevento, un articolato, forse un po’ troppo, “laboratorio del gusto”. La tempesta gustativa probabilmente non ha consentito di apprezzare appieno le caratteristiche dei prodotti presentati, tutti di altissima qualità e meritevoli di maggiori approfondimenti.
Incipit a base di salumi: salsiccia rossa di Castelpoto (presidio slow food) della Fattoria Muccio ed i salumi di maiale nero casertano dell’azienda Tomaso di Faicchio. La contemporaneità degli assaggi ha decisamente penalizzato la salsiccia rossa, un po’ monocorde negli odori e nel gusto, rispetto alla delicata ricchezza e morbidezza dei salumi di maialino nero, prevalenti anche nelle varietà e quantità servite. Siamo troppo innamorati della salsiccia rossa di Castelpoto per non aver avvertito una sorta di risentimento nel vederne le due fettine umiliate e sovrastate nel piatto da prosciutto, salame e pancetta di maiale nero. La straordinaria, combattiva passione del giovane Muccio ha offerto il giusto riscatto ai devoti del peculiare prodotto di Castelpoto: “la nostra salsiccia è migliore di quella di maiale nero perché è fatta con un ingrediente unico: l’amore”. E noi ti amiamo Muccio.
Maria Grazia De luca della sezione AIS di Benevento ha guidato con straordinaria competenza ed affascinante eloquio le degustazioni e gli abbinamenti con i vini della Cantina del Taburno, presentati dal bravo e cordiale Filippo Colandrea, enologo della cantina. Sui salumi, come di rito oserei dire, uno spumante, l’Albarosa aglianico rosato, spumantizzato con metodo charmat lungo (ossia rifermentazione lunga del vino in grosse cisterne di accaio). Lo scarso amore per l’aglianico non poteva non riverberarsi sulla sua versione rosata spumantizzata ma si tratta di gusto personale. L’Albarosa è fresco, fruttato, le bollicine si avvertono appena al palato, poco alcolico, equilibrato. Un vino fatto per una beva svelta, strizzando l’occhio ad un pubblico di bevitori d’occasione, magari in un finger food party. Per il piatto di salumi servito era ottimo.
A spezzare il penetrante gusto dei salumi ci hanno pensato i sottoli biologici dell’azienda agricola Borgo La Rocca. Una piacevole scoperta. Il palato ci ha rivelato che il racconto del titolare dell’azienda non era romanzato: cura della coltivazione e delle lavorazioni per ridurre l’uso dell’aceto come conservante naturale, giusto mix di olio extravergine e di girasole. E’ davvero raro trovare sapori e fragranze interessanti nei sottoli, solitamente travolti da aceto, additivi di conservazione e pessimi oli. I peperoni su tutti per gusto e consistenza. In abbinamento l’Amineo da uve Coda di Volpe. Lo scarso apprezzamento personale per l’aglianico ha il suo contraltare nella sconfinata passione per questo vitigno, ottimamente vinificato dalla Cantina del Taburno, seppur in piccole quantità. Il mercato non apprezza la Coda di Volpe, cosiddetto per via della forma del grappolo che richiama, appunto, la coda della volpe. Andrebbe riscoperta, ha qualità notevoli che, però, e credo questo sia il problema, richiedono un palato più “abituato” per essere apprezzate .
Il culmine della serata giunge con il caciocavallo di Castelfranco in Miscano di Antonio Pacifico, che, per la curiosità ed il piacere dei molti presenti, sul finir della serata ha filato una cagliata a mozzarella, traendone nodini e trecce. La filata sarà stata stupefacente per chi non l’aveva mai vista ma il caciocavallo servito stupiva più d’ogni altra cosa. L’aspetto molto compatto, con la totale assenza di buchetti, almeno nelle porzioni che mi sono state servite, mi aveva mal predisposto. L’odore, invece, ha subito tradito l’origine del latte da vacche brune alpine al pascolo libero: sentori di burro, aromi erbacei, morbidezza, pastosità, grassosità. E il colore, poi, quel giallo, ora scintillante ora opaco, che prevale spesso negli sconfinati campi che costeggiano la strada che porta a Castelfranco in Miscano. Occorre spezzare il formaggio, chiudendo gli occhi, e sniffare. La magia dei profumi, come una droga, innesca una slideshow di immagini fortorine: la 90bis, il grano, i dolci pendii, le rocce aspre, sinanco il rumore fascinoso delle pale eoliche, avvertirete tutto anche se non siete mai stati lì (ahimé).
Antoine Doinel
1 comments On una serata in laboratorio (del gusto)
Blog davvero interessante, peccato non sia ancora disponibile la versione mobile. Almeno io non l’ho trovata, infatti per leggere questo articolo sul mio telefono ci messo mezz’ora. Perlomento era interessante e ben scritto.