La pizza del Millenium sotto il cielo di fosforo e cobalto

Oltre i rami spogli dei platani una striscia di fosforo accecante da non delinearne il profilo. Sono le vette del Matese, brillanti di neve, nell’abbraccio di un cielo blu cobalto per l’irradiazione di una altissima luna piena. Quaranta minuti d’auto sono volati tra i suoni e gli shignazzi  di discussioni serissime a base di ricordi, vini, confessioni, schiocco di baci dal sedile posteriore e la contemplazione di un geco avvinghiato ad un tubo di un vecchio edificio. Quaranta minuti è il tempo giusto per predisporsi al meglio della serata.

Non è chiaro perché ci si accontenti della consuetudine oppressiva di locali frequentati sempre dalle stesse figure pur di evitare un breve spostamento. “I beneventani non vengono mai, di più da Napoli” dice Marino Di Gennaro. Ha abbandonato Benevento tre anni fa e vive qui, a Cusano Mutri, in un percorso di decrescita dice lui, di grande ricchezza diciamo noi. Cura i terreni del nonno, coltiva grani di varietà antiche, progetta attività di agricoltura solidale, esplora il territorio di cui è guida certificata, produce eccellente birra artigianale sotto il marchio Iside a partire da grani e luppoli propri. Ci si accosta oramai al bicchiere di birra artigianale con lo scetticismo di chi sa che l’aggettivo enfia insulsi sapori. Into the Hop, invece, è una birra precisa, opulenta per aromaticità e sapori. Stupisce e piace il dialogo tra note contrapposte che in fondo e infine dona equilibrio ed armonia.  Avevamo già scordato il nome della birra, che ne è parafrasi, quando, ascoltando il racconto di Marino, abbiamo evocato “Into the wild”, il film di Sean Penn che racconta lo sfrontato abbandono della città e della comodità da parte del neolaureato Cristopher McCandless, fuggito nella natura selvaggia per costruire il proprio avvenire fuori da percorsi segnati e scontati.

Marino è di casa al Millenium di Giovanni Civitillo. Il nome evoca localacci di alcol pessimo, luci laser, house music, disumanità  disperata in cerca di estasi artificiali. Millenium, invece, in questo angolo di montagna è il millennio passato. Una pizzeria umana (dovrebbe introdursi nelle recensioni e nelle guide la dimensione umana dei locali) in cui rifugiarsi.

Un ingresso e un soppalco, tavoloni di legno scuro, il forno, uno stonato kebab e l’umanità paesana fervida di abbracci e parole a riscaldare l’ambiente. La sincerità impera nella parole, nella semplicità, nei saluti, nell’accoglienza, nelle pizze. Il martedì e il venerdì solo pizze da farine di grani antichi locali. Tutti i giorni, invece, salsiccia “d’poce” (ricavata dalle carni rosse del maiale e degli organi interni come cuore, diaframma, fegato), formaggi di ogni latte – pecora, capra, vacca – patate interrate. Cibo autentico senza il fronzolo della declamazione. Non ci sono marchi, loghi, narrazioni, prosopopee. Quella spasmodica e frivola ricerca di perfezione o originalità artificiale qui non esiste. Si propone quel che si ha, così com’è, ed è buono, così come la sapienza dell’uso ha indotto a trovare e a fare.

I formaggi sono del pastore sulla montagna, i salami di qualche Peppiniello dietro l’angolo, le farine dei grani degli agricoltori del posto, quelli più saggi e quelli più astrusi, come Geremia che si trova a passare, si trattiene a scambiare qualche parola su una storia di “deportazione” di semi risalente al ventennio fascista e che incarna alla perfezione la figura del “filosofo”.

Le pizze, dunque. Peculiari, fuori dagli schemi. Impasto molto saporito, ben lievitato, sicché non lascia segni nella nottata seguente. Con lo stomaco già pieno dei formaggi e dei salumi di cui s’è detto oltre che di “pizza coi cicoli” e “tortano rustico”, si parte con una prima pizza condita di pomodori vernetechi, patate interrate del Matese e salsiccia, a seguire quella con gli stracci di pasta filata di caciocavallo e pomodorini, e poi con i “pescitelli” (zucchine essiccate), patate e fior di latte. Per finire, ma solo con le pizze, la pizza nel ruoto, sempre lussuriosa.

La generosità di Marino e Giovanni fanno arrivare in tavola zeppole di patate, che non si vedevano dal secolo scorso, e cantucci per accompagnare la Imperial IGA (Italian Grape Ale, ossia birra italiana con aggiunta di uva o mosto), ancora sperimentale. Una birra già straordinaria per complessità ed equilibrio con sentori esotici ammalianti.

Manca una partita a scopa finale ma tant’è, si torna a casa con la voglia di tornare ad abbracciarsi ancora a Cusano Mutri.

 

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