Se mai vi capitasse di decidere di mangiare all’osteria Bartolini a Bologna, a piazza Malpighi arrivateci a piedi da piazza Maggiore o da via Farini e poi via Barberia. Un percorso di suggestione antica sotto portici immutabili e confortanti, una pista nobile e a tratti austera che si conclude sotto la chioma, lussureggiante anche d’inverno, quando è spoglia di foglie ma veste il cielo degli intrecci inestricabili e armonici dei suoi rami, di un monumentale platano, il platano della cavallerizza. Il massiccio tronco ha impiegato due secoli per raggiungere i 5 metri e passa della circonferenza attuale. L’albero pare fu piantato dalla famiglia Rusconi nel 1825, quando risistemò il giardino soprelevato del maneggio dell’antico nobile palazzo che fu già della senatoria famiglia Dondini. Intorno al fusto, tavoli e sedie dai colori tenui per mangiare all’aperto col clima mite, luci fastose a richiamare e illuminare il percorso verso l’ingresso nelle sale che furono scuderie.
L’interno, ampio e arioso, restituisce percezioni marine, prima che con i sapori, con l’odore intenso di pesce cucinato nella cucina affacciata sulla sala e con i colori di un pelago delicato: bianco alle pareti, sabbioso e ruvido beige per le volte, celestino opaco, quasi avion, le sedie. I tavoli scarni di legno evocano gli assi aggrediti dalla salsedine delle barche dei pescatori. Paiono lampade di pescherecci quelle che sporgono dalle pareti, al culmine di tubi di ferro brunito.
Nella Bologna dei salumi, del lesso, delle paste imbottite, Bartolini ha portato il pesce dalla riviera, da Cesenatico dove il papà notoriamente e con successo riconosciuto cucina (e frigge) pesce da oltre trent’anni.
Non che sotto il platano, col pretesto del pesce e della sua risaputa delicatezza, si rechi pregiudizio all’avidità di sapori intensi dei gourmand padani e non solo.
I passatelli son ben più che saporiti nel torbido, sapido, denso e marino brodo di pesce. Il palato avverte tutto: la freschezza del giardino dei limoni, l’imponenza del formaggio, la pienezza del pane e dell’uovo, la vivacità del mare. Un piatto sontuoso. Il menù, proposto in forma essenziale sulla tovaglietta di carta che pare quella per i fritti, imperdibile marchio di fabbrica della casa, si arricchisce delle proposte elencate su una strisciolina di carta, e propone un “pesce selvaggio alla griglia con verdure spadellate”. Una garbata e graziosa camerlenga avverte trattarsi di rombo, rassicurando circa l’orgine, appunto, selvaggia, da mare aperto, del delicato membro degli scoftalmidi. Il trancio è poderoso, perfetta la cottura e leggera la panatura che non intacca il sapore soave del pesce.
Anche le verdure sono buone. Alcune, (peperoni, melanzane e zucchine) fuori stagione, steccano nella canzone dell’autentico cantata da Bartolini con il ritornello “non chiedetemi spaghetti allo scoglio: in romagna non abbiamo scogli”.
La terrina di crema con zabaione fresco, per chiudere, è una golosità capace di regalere il nirvana, se non fosse per la smania di richiederne una ulteriore dose.
Carta dei vini essenziale ma ben selezionata con una sufficiente proposta di vini al bicchiere.
Servizio efficiente, buona gestione dei rumori di sala che in un ambiente così grande potrebbero essere devastanti, largo lo spazio tra i tavoli.
Conto sui 30 euro, bevande escluse.
Osteria Bartolini
Piazza Malpighi, 16 – Bologna
www.osteriabartolinibologna.it
Articolo così apparso sul Roma del 10 marzo 2018, rubrica Odissea Gastronomica